“La Salute in Movimento”, una lezione dalla crisi pandemica

3 settembre – L’intervista rilasciata da Felicia Pelagalli, al quotidiano Il Foglio, sui risultati del progetto sociale “La salute in Movimento”: un progetto sociale nato per dare voce e corpo a nuove idee, volte a migliorare il sistema salute. Il progetto è stato ideato e pensato da Novartis Italia e da Culture, società che si occupa di cultura e innovazione fondata nel 2008 da Felicia Pelagalli, che racconta l’iniziativa. 

“Salute in Movimento”. Come nasce il progetto?

Siamo partiti dall’insegnamento dato dalla crisi pandemica, che ha svelato due aspetti fondamentali: il primo è che la salute è un concetto ampio, che non include solo la sanità come assenza di malattia, ma riguarda il benessere individuale e collettivo, è una dimensione centrale della nostra esistenza da cui dipende la nostra felicità, la nostra vita sociale e quella economica; il secondo è che siamo tutti interconnessi, quindi il benessere dell’”io” deve andare di pari passo con quello del “noi”. Da queste due direttrici è nato, per comune iniziativa di Culture e Novartis Italia, “La salute in Movimento”, un progetto sociale che nel nome ha il suo intento: Movimento come muovere, cambiare, il sistema salute e Movimento come aggregazione di persone, istituzioni, associazioni, imprese, università. Un “noi” che spinge il cambiamento.

Come ogni “MOVIMENTO”, anche questo ha il suo Manifesto. 

Si, abbiamo elaborato un Manifesto, il “Manifesto per la Salute del XXI secolo” che si compone di sei principi, i sei driver di cambiamento del Sistema: Visione, per un salute globale che non lasci nessuno indietro, Governance, per ridisegnare il sistema, Competenza, poiché è necessario sviluppare cultura e competenze tecnologiche, Intelligenza, umana e artificiale, Umanità, per ricostruire fiducia nel futuro guardando ai più fragili e, infine, Relazione, ovvero superare la logica individuale e porre al centro le relazioni. Questo Manifesto, ideato in collaborazione con l’Università Humanitas, il Politecnico di Milano, l’Università di Napoli Federico II ed altri, ad oggi è stato firmato da oltre 200 persone, tra cui esperti, scienziati, imprenditori. Insomma, un riscontro di sottoscrizioni e adesioni molto ampio. 

Qual è l’obiettivo del progetto?

Non volevamo fermarci a una semplice dichiarazione di valori e di intenti, ma trasformare i principi in azioni concrete. Per questo, abbiamo organizzato un’Agorà di due giorni, condotta in collaborazione con la Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, in cui i sei principi del Manifesto sono diventati sei Tavoli di lavoro, con più di 70 esperti coinvolti. Sono stati realizzati sei progetti portati poi all’attenzione delle istituzioni presenti, in vista del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, i cui fondi potrebbero essere utilizzati anche per finanziarli. L’obiettivo, quindi, è quello di trovare soluzioni, non parlare solo delle cose che non funzionano, ma ideare e presentare proposte alle istituzioni per provare a cambiare le cose. 

Perché questa voglia di cambiamento?

La voglia di cambiare nasce quando le cose non funzionano. La pandemia ha dimostrato che l’attuale sistema sanitario, così come pensato e costruito in ottica ospedalocentrica, non funziona, lo abbiamo visto. Sono stati fatti errori che hanno portato il sistema sanitario ad essere così impreparato. L’errore principale, a mio avviso, è stato innanzitutto nella separazione, perché la medicina per lunghi anni ha vissuto di specializzazioni, abbiamo segmentato un intero che è l’essere umano, l’uomo. Poi, dal punto di vista delle risorse umane, sono stati fatti troppi tagli in passato, soprattutto nelle strutture territoriali, concentrando tutto su pochi ospedali. Infine, mancano le competenze sulle nuove tecnologie, fondamentali per guardare al futuro, non possiamo guardare alla salute solo quando ci ammaliamo, è troppo tardi. 

Quali, dunque, le proposte di “Salute in Movimento”?

Durante l’Agorà sono stati ideati nuovi progetti. Ad esempio, uno di essi vuole migliorare la rappresentazione pubblica di Scienza e raccontarla con un format innovativo, che spazia dalla serie TV al videogame; un altro si concentra sulla formazione, attraverso l’istituzione di una Academy per formare le nuove competenze dei professionisti della salute. Quello che mi sta a cuore personalmente riguarda l’Intelligenza Artificiale: abbiamo immaginato un’architettura per far diventare il sistema sanitario un ecosistema data-driven, con un flusso di raccolta dati capillare, mediante data stewards presenti in ogni struttura sanitaria, insieme a due, o tre centri di competenza per l’analisi centralizzata dei dati, con data scientists che elaborano strategie e sistemi di intelligenza artificiale. I dati che abbiamo visto nella pandemia sono stati prevalentemente numeri, ma il dato come informazione è ben altra cosa. Ci vorrà del tempo per creare la cultura dei dati, fondamentale per creare una visione nel lungo periodo.

Caterina Somma

Intervista pubblicata il 3 settembre 2021 nell’inserto Il Foglio Salute, del quotidiano ©IlFoglio

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